Il brutto d'esser belli

Nel 2015 J-Ax cantava Il bello d’esser brutti e io, che da piccolina non mi ritenevo bella, non lo capivo. Ora invece lo comprendo nonostante non mi reputi più brutta. In realtà non mi credevo brutta, direi più bruttina, che forse è ancora peggio. 
Più che del bello d’esser brutti, io parlerei del brutto d’esser belli. 

L’idea per questo articolo mi venne mentre scrivevo la recensione del nuovo film di Paolo Sorrentino: Parthenope.


“Poche azioni e dialoghi, volontariamente, poco chiari; verso metà del film a molti Parthenope inizia addirittura a infastidire: la sua presenza, così sicura e allo stesso tempo fragile, tipica di una ragazza di vent’anni che sa (solo) di essere bellissima, riesce a mettere in soggezione anche lo spettatore che, per difendersi, comincia a guardarla con un occhio di diffidenza. Ma lei non ha chiesto di nascere bella, le è capitato, come a tutti i belli del mondo. E come tutti i belli, anche lei deve convivere con questa (s)fortuna: viene guardata, ma non viene vista per quello che è.” Insomma, il destino infelice di noi bellissimi. Scherzi a parte, la recensione continuava così:

“Proprio perché nel film non accade molto, se chiedete a chi l’ha visto di parlare della protagonista, vi dirà subito che è molto bella, ma faticherà nel trovare con la stessa velocità altri aggettivi che ne descrivano il carattere: come se lei fosse solo la sua bellezza, nient’altro. Anzi, per dimostrare di avere altre qualità la giovane ragazza dovrà fare il doppio della fatica: quando sei bellissima difficilmente ti viene riconosciuto altro, e quando finalmente accade non te lo sei meritato, te lo sei comprato con l’aspetto fisico.”


Molto spesso il bello si porta dietro più pregiudizi del brutto: se sei bello probabilmente - pensano - sei stupido; invece se sei brutto di certo sei interessante. O intelligente. O simpatico. Ci viene mostrato che c’è qualcosa di brutto anche nell’essere belli, e di conseguenza che c’è qualcosa di bello nell’essere brutti. Con l'avvento del cinema e della televisione cresce nei produttori il desiderio di mostrare al pubblico volti esteticamente gradevoli; se oggi c'è questo bias è perché di fatto una volta funzionava così, non si guardava la testa ma il volto (col passare degli anni non si guarderà più il volto ma il fisico).

A Parthenope viene proposto di fare l’attrice solo perché è bellissima, le dicono che sarebbe una diva perfetta; lei si lascia convincere e, dopo aver fatto del sogno altrui il proprio obiettivo di vita, le confessano che serve altro. “La bellezza è come la guerra, spalanca tutte le porte” poi però le porte vanno varcate e si scopre così non solo che la bellezza non basta, ma anche che non aiuta, anzi ostacola. Ora mi spiego.


Come già avevo anticipato nell’articolo Non sono mai solo capelli, non è un caso se spesso la bellezza (soprattutto quella femminile, poi lo vedremo) viene associata alla stupidità: come se madre natura potesse donare una sola qualità per persona; c’è chi è bello e c’è chi è intelligente. Una convinzione inizialmente veritiera (con l'avvento della televisione) e che poi si è radicata negli anni grazie a film e serie tv, dove la secchiona della classe aveva l’apparecchio, gli occhiali e il taglio di capelli che andava di moda quattro anni prima, mentre la ragazza popolare (ergo bellissima) superava l’esame di fine anno con il minimo dei voti e, a fine film, veniva lasciata dal ragazzo. Neanche a dirlo: lui si fidanza con la secchiona, che al ballo è, inaspettatamente, bellissima. Quello che proviamo per la secchiona non è simpatia, piuttosto empatia se non addirittura pietà: poverina, ci viene da pensare per tutto il film. Vi faccio presente però che non viene mai messa in discussione la bellezza di lui: come se nell'uomo intelligenza, simpatia ed estetica possano convivere serenamente, mentre per la donna questa possibilità non c'è. Da notare poi la presenza fissa di un glow-up della protagonista, che va in questo modo a contraddire quanto sostenuto finora: essere belli non è necessario, basta essere svegli, buoni e generosi (come se una caratteristica escludesse le altre); poi però ci mostrano che è meglio se metti le lenti a contatto, se togli l'apparecchio e ti piastri i capelli. E come la secchiona viene eletta reginetta della festa, così ci suggeriscono che una bella presenza viene accettata solo se arriva col tempo: ce la dobbiamo meritare. Ciò significa che, se nasci già bello, sei un po' stronzo.

Se è vero (ed è vero) che la bellezza viene distribuita a caso, non c’è alcun merito nell’essere belli, come non c’è alcun peccato nell’essere brutti. E viceversa. Non è una cosa di cui andare fiero perché non te la sei guadagnata, è capitata. E non è nemmeno una cosa per cui provare empatia: infatti finché i brutti ci faranno peccato, i belli ci risulteranno almeno un po’ antipatici.

Per anni la sfera del bello, della bellezza e della cura personale sono state dipinte come dimensioni negative, frequentate da persone malvagie ed egoiste: piacersi e piacere sono difetti; anche la semplice (e per quanto mi riguarda quotidiana) azione di guardarsi allo specchio compiaciuti è di solito eseguita dall'antagonista della storia raccontata, come se l'unico modo legittimo per considerarsi belli fosse attraverso gli occhi degli altri.


È doveroso ammettere però che la bellezza rappresenta di certo un vantaggio per raggiungere determinate posizioni (lavorative, sociali o politiche che siano), ma questa scorciatoia (come tutte) ha dei limiti: per fare una scalata dalla posizione ottenuta, la bellezza, che fino ad ora è stata vostra alleata, adesso diventa nemica. Il giusto merito non vi verrà mai riconosciuto se l’aspetto fisico arriva sempre prima di voi; è la punizione da pagare: essere malvisti da colleghi e colleghe che cercheranno in ogni modo di screditare il vostro impegno. Quindi, se la bellezza facilita l’assunzione, essa rappresenta anche un elemento di delegittimazione del vostro stesso lavoro. È perché sei bello e mai perché sei bravo.

Però c'è da dire anche che risultare a primo impatto sgradevoli alla vista non vi aiuterà a trovare un’occupazione: lo dimostrano delle ricerche condotte negli Stati Uniti, dove è stato coniato un termine per questo fenomeno, si parla appunto di lookism. Spesso questo problema ne coinvolge altri: l’idea standard di bellezza infatti non comprende (o almeno non ancora, purtroppo) determinate etnie e fisionomie, sfociando così spesso nel razzismo o nella grassofobia.


Un ultimo punto su cui mi vorrei soffermare riguarda la questione di genere, perché anche qui ci sono delle differenze. La bellezza come ostacolo è infatti un problema soprattutto femminile: lo dimostra il fatto che tutti i prodotti anti-age sono creati e commercializzati per un pubblico composto da donne. Abbiamo paura dello scorrere del tempo perché temiamo di perdere fascino agli occhi maschili, fascino che invece gli uomini acquisiscono proprio con il passare degli anni. L’uomo giovane è bello, l’uomo anziano è affascinante. La donna giovane è bella, la donna anziana è solo anziana (e cioè brutta, rugosa e vecchia). Questo processo ha conseguenze anche in ambito lavorativo: una donna anche solo apparentemente anziana sembra non abbia più molto da offrire; d’altro canto però, una ragazza giovane ed esteticamente piacevole appare, agli occhi del titolare e dei colleghi (di entrambi i sessi), incapace di offrire altro se non la propria bellezza (a tal proposito guardatevi The Substance).


Le contraddizioni che la bellezza porta con sé sono moltissime e forse questo è anche il motivo per cui, per fortuna, non tutti trovano attraenti gli stessi visi; impossibile però negare che ne esistono alcuni che vengono riconosciuti positivamente da tutto il mondo. Al di là del pensiero sull’esistenza o meno della bellezza oggettiva, l’estetica non basta mai ed è normale e giusto che sia così. Come non basta essere solo intelligenti, o simpatici. Una sola caratteristica non può diventare la nostra unica arma, a maggior ragione se questa ci è stata - per così dire - donata. 

La bellezza capita, lo diceva Diletta Leotta a Sanremo nel 2020. Ecco però, teniamoci solo questo del suo monologo, che sembra non ottenere il risultato desiderato: Leotta vorrebbe dimostrare che oltre l'estetica c’è altro. Finalmente qualcuno lo dice! - penso - e ascolto con piacere. Ahimè però la giornalista sportiva finisce per confermare che, forse (concediamole il beneficio del dubbio), oltre la bellezza non c’è proprio niente e ciò capita soprattutto a chi ha fatto della bellezza il proprio lavoro, ma questo è un altro discorso.



Filmografia

Parthenope, regia di Paolo Sorrentino (2024)
The Substance, regia di Coralie Fargeat (2024)

Commenti

  1. mi sarebbe piaciuto leggere un pensiero anche riguardo alle differenze tra uomo e donna in questo ambito in relazione al patriarcato e come sono cambiate (se sono cambiate) le cose da 100 anni a questa parte, credo che sia un punto di vista che si può articolare bene anche in relazione alla presa di posizione delle donne grazie al femminismo che le ha portate a prendere posizioni sempre meno marginali nella società ( dal diritto di voto 80 anni fa alla possibilità di divorziare o fare lavori di alto calibro in politica per esempio)

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    1. Con i movimenti femministi le donne hanno sicuramente rivendicato il diritto di esistere in quanto individui completi e indipendenti, anche dal punto di vista estetico: ciò significa che non si fanno più belle per gli uomini o almeno, non solo per loro. Mi viene in mente una scena del film di Cortellesi, quella in cui il promesso sposo di Marcella le impedisce di truccarsi per andare al lavoro: lei dovrebbe infatti acconciarsi solo per lui. Ecco, fortunatamente le cose oggi sono cambiate, ma rimangono ancora delle briciole di questo pensiero: molti credono che le donne postino sui social per l'attenzione maschile; oppure quando si sente un ragazzo dire "Dove vai così bella?", come se lei dovesse per forza farsi bella per qualcuno (e ovviamente s'intende sempre un uomo).
      In ogni caso, ricordiamo che è comunque una condizione umana quella di ricercare il riconoscimento altrui e questa necessità si esprime anche sotto il punto di vista estetico, ecco spiegato ad esempio il motivo per cui ci prepariamo con novizia prima di uscire il sabato sera.

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