Cara amica,
Non di rado mi sono domandata se la causa dei problemi irrisolti con me stessa e con gli altri (amici, parenti o fidanzati che siano) c’entri con la fine del nostro rapporto. Per rispondere a questa domanda non sarebbe sufficiente una vita di psicoanalisi, ma potrebbe bastare una chiacchierata con te.
Il mio primo vero breakup non è stato d’amore, ma d’amicizia: sei stata tu.
Una delle poche cose che riesce a togliermi l’amaro dalla bocca quando penso a noi è sapere che la maggior parte delle volte le amicizie storiche finiscono così. All’improvviso e per un motivo futile. Tutte noi sognavamo di arrivare ai trenta, quaranta, cinquant’anni con la stessa amica dei dieci, ma in poche ci riescono.
Ci chiudiamo, sembra la scelta migliore; sembra in realtà l’unica cosa possibile da fare, ma a sedici anni non abbiamo la maturità per capire che quella decisione, presa in un momento di rabbia e dove l’orgoglio ha sicuramente avuto la meglio, giocherà un ruolo importante nella nostra vita futura. Lo facciamo e basta: terminano i messaggi, le ore di telefonate, le uscite insieme, iniziamo a vagare da compagnia a compagnia alla ricerca di una sostituta che però, spoiler: non troveremo.
Il processo di metabolizzazione è diverso per tutti, a volte il tempo cura la ferita, altre invece il passare dei mesi porta consapevolezza, dubbi, rimpianti. Arriviamo così all’anniversario della fine dell’amicizia a piangere come disperate per una ragazza che, pensiamo, l’avrà superata; e invece no, perché anche lei, che nel frattempo è entrata a far parte del gruppetto che avevate sempre odiato, ti pensa ancora. O magari sì, lei l’ha superata, d’altronde dice di averlo fatto, chi sono io per sostenere il contrario? La sua migliore amica? No, non più.
Eppure io non ci credo, non credo neanche a me stessa quando dico che mi è indifferente, non credo a lei, quando mi guarda e mi parla, iniziando le solite conversazioni di circostanza al bar di paese. Non solo non ci credo, ma la odio pure: come ci siamo ridotte? Parlarci come se fossimo due sconosciute, rimanendo nella zona grigia della conversazione, senza chiedere troppo, senza commentare come avremmo fatto una volta, quando ancora eravamo amiche, senza sembrare troppo interessate l’una alla vita dell’altra, anche se in realtà lo siamo entrambe. Capita che la zona grigia sparisca, quando viene ricordato un episodio vissuto insieme, una battuta che usavate fare, a volte basta solo uno sguardo; le distanze artificiali che vi eravate imposte si annullano tutto d’un tratto e l’amarezza che prima entrambe provavate da sole diventa più dolce, perché ora la state provando insieme. Una sorta di riconciliazione temporanea che dura pochi minuti, poi tutte le barriere sembrano erigersi nuovamente dal pavimento. Siamo felici perché ci siamo riconosciute, tristi perché giungiamo a una consapevolezza: non puoi riconoscere qualcuno senza prima averlo perso per un po’. E allora sì, ci rendiamo conto che siamo tornate a essere due sconosciute, proprio come eravamo quel giorno di prima elementare, ma la differenza sta tutta nel semplice fatto che, se a sette anni speri di diventare sua amica, a venti puoi solo ricordare quando lo eri.
All’inizio proviamo rabbia, poi prende piede la tristezza che provoca coscienza e, all’improvviso, tutto il bene che vi siete volute riappare. È un processo lungo, possono volerci mesi (nel migliore dei casi), anni, addirittura una vita intera. Non importa in quanto tempo, l’importante è che il bene ritorni e, credetemi, se è stata una vera amicizia, ritorna sempre. E siamo costrette ad accontentarci: perché è l’unica cosa che può tornare, dal momento che lei non può; questa volta però - sembriamo chiedergli - torna per restare, come se il ricordo dell’affetto riesca a compensare la sua assenza. Ahimè però, non sempre funziona.
Io sono cambiata, lei è cambiata, il cambiamento è una costante ed è necessario, ma spesso è un ostacolo troppo grande per un’amicizia così “giovane”, per due ragazzine che volevano non litigare mai.
Ma ormai fa parte del passato e, anche se spesso sembra il contrario, entrambe siamo andate avanti; effettivamente abbiamo conosciuto nuove persone, siamo entrate e uscite da mille compagnie, abbiamo chiamato “migliore amica” qualcuna che forse non lo era, e non perché fosse un’amica di merda, ma perché non è riuscita a reggere il confronto con te.
Quello che mi tormenta è il dubbio del “se”. Che sarebbe successo se ti avessi risposto in modo diverso? Che sarebbe successo se non fossi uscita quella sera? Vorrei tanto sapere se la nostra era un’amicizia destinata a finire o è solo stata vittima di una sorte avversa. Ma soprattutto: se potessimo farlo, torneremmo indietro per risolvere quella stupida (e ultima) litigata? In cuor nostro conosciamo la risposta, perché per quanto quell’amicizia fosse diventata pesante e tossica, quando ci riflettiamo ritorniamo le bambine che sognavano di diventare grandi insieme.
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