Domandare è sempre lecito?
Forse perché si è diffuso il falso mito che vede l’essere buoni (o semplicemente educati) all’essere stupidi; di conseguenza si è poi ben pensato di collegare l’essere stronzi all’essere svegli, furbi e intelligenti.
Tuttavia non abbiamo valutato e compreso abbastanza che la conseguenza di questo atteggiamento riguarda lo stesso intervistatore: quando la domanda parla di più della risposta, il vero imputato non è l’interrogato, ma colui che sta interrogando.
E poiché per far parlare oggigiorno conviene chiedere qualcosa che faccia venire la pelle d’oca, suscitare nell’ascoltatore o nel lettore la convinzione che No dai, non può averlo chiesto veramente, tutto è concesso. Questo mostra che non è tanto importante il contenuto, ma piuttosto il semplice fatto di dire qualcosa di scandaloso (anche se ormai di veramente scandaloso ci è rimasto ben poco).
Siamo infatti abituati a tutto: tradimenti, body shaming, guerre, violenze, discriminazioni di ogni tipo, il singolo evento difficilmente riesce a smuoverci qualcosa. Siamo anestetizzati, apatici e insensibili. Ciò che ci sconvolge, invece, è il fatto che ancora queste cose accadano (la guerra, ad esempio). O che qualcuno ancora si sconvolga perché accadono (i tradimenti).
Intervistatori, giornalisti o chiunque altro opera in questo modo ha ben capito come funziona: tocca un argomento delicato per ottenere un riscontro, positivo o negativo che sia non importa, ciò che conta è la certezza che arriverà. E così le riviste continuano a parlare di diete, kili, corpi afflosciati e visi invecchiati. Insomma, vale il solito “Nel bene o nel male, l’importante è che se ne parli”. E al giorno d’oggi, purtroppo o per fortuna, è vero: l’importante è che se ne parli. L’importante è lasciare qualcosa, non conta che sia un bacio o una lacrima, una rosa o una spina; il vero perdente è quello per cui si prova indifferenza, sei sconfitto quando vieni dimenticato. E allora, visto che il bacio non si dà a tutti, preferiamo far piangere. Visto che le rose costano, prendiamo le spine. Visto che fare un complimento implica l’essere gentili (e l’essere gentili a sua volta implica l’essere scemi, come dicevo prima), allora critichiamo. Così, rifugiandoci nella tana della domanda, facendo cioè credere all’intervistato che Stiamo solo chiedendo, parliamo. Sentenziamo.
Questo modus operandi, come accennavo all’inizio, dice molto di più dell’intervistatore che dell’intervistato; tale atteggiamento, quello per cui si parla solo per non fare la figura degli scemi, è un’arma a doppio taglio: perché se davanti a noi abbiamo qualcuno di intelligente tanto quanto noi (o a questo punto anche di più), la figura dello scemo la facciamo lo stesso. E anzi, con aggravante: non sei scemo perché lo sei, sei scemo perché lo fai. La tua è una scelta, e allora complimenti.
Non troppo diversi dalle zanzare, entrambi ronzano e infastidiscono senza alcun apparente motivo. La zanzara però non può scegliere altrimenti, lo fa e basta. Quello è il suo destino, la sua vita; l’uomo, invece, lo decide consapevolmente. E ci sarà sempre chi difenderà questa posizione: perché tra l’essere scemi per caso e l’esserlo per scelta ne passa, sta tutto dell'intenzionalità. Si tratta di subire o di agire, e purtroppo la passività non ha mai avuto chissà quale charm.
Ecco però, stiamo dimenticando un dettaglio: questa visione si basa su una teoria errata. Infatti si può stare zitti senza passare per inetti, o essere educati senza risultare stupidi; esiste cioè una zona grigia tra il nero e il bianco, zona di cui nessuno parla, perché schierarsi è, nella maggior parte dei casi, più facile.
E allora mi chiedo: domandare è davvero sempre lecito? Forse lo è solo quando lo si fa per vero interesse, solo quando chiediamo perché non sappiamo, e non per mostrare che invece sappiamo eccome. Insomma, se conoscete già la risposta, state zitti. Se credete di conoscerla: state zitti. Se della risposta non vi frega nulla: state zitti. Oppure continuate a chiedere, tanto -vi ricordo- la figura la fate voi.
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