I discorsi dei grandi

Da un po’ di tempo a questa parte mi rimbomba nella testa una domanda: quand’è che abbiamo smesso di chiederci qual è il nostro animale preferito? Non perché mi interessi effettivamente sapere se preferite il leone o la farfalla, ma per il genere di domanda. Animale, cibo, sport, colore preferito una volta erano le basi della conoscenza, della conversazione. E così avevamo in mano l’identikit di tutto l’asilo. Luca: 6 anni, un fratello più piccolo, colore preferito azzurro e animale preferito squalo. Serena: 6 anni e mezzo, figlia unica, colore preferito lilla e animale preferito gatto. 
Se ora ci penso, devono essere passati solo pochi mesi dall’ultima volta in cui ho chiesto a qualcuno quale fosse il suo colore preferito, ma questo perché, sotto il seguente aspetto, non sono ancora cresciuta, e forse va bene così. Sono sicura però che molti di voi non ricevono una domanda simile da anni. 
Come per ogni mio articolo, anche stavolta ho cercato di capire meglio perché, arrivati a una certa età, iniziamo a parlare di determinati temi e di conseguenza non ne affrontiamo più altri. Stavolta però non ho trovato alcuna risposta: evidentemente è un processo normale sul quale nessuno ha mai svolto una ricerca, e questo perché nessuno ha mai ritenuto necessario interrogarsi a riguardo. Tuttavia la normalità persiste fino a quando qualcuno non la mette in discussione, e oggi quel qualcuno sono io.
Quindi, quand’è che abbiamo smesso di chiederci il nostro animale preferito? E soprattutto, perché?

Rispondere al quando è più difficile del previsto, i tempi sono diversi per ciascuno di noi; il motivo però, quello è più facile da individuare: semplicemente si arriva a un’età in cui bisogna (per convenzione sociale) intraprendere le cosiddette conversazioni da adulti o, come le chiamerebbero i bambini, “i discorsi dei grandi”.
In automatico, quando iniziamo a fare “i discorsi dei grandi”, quelli che abbiamo intrapreso fino al giorno prima diventano “i discorsi dei bambini”. Cresciamo in un giorno, per così dire. E non ci sarebbe niente di male se non fosse che gli adulti, caratterizzati dall’arroganza tipica di chi ha paura di essere inferiore, declassano i discorsi dei bambini a superficiali, stupidi, insensati. Questo non è altro che il risultato di una visione secondo la quale crescere (s’intende proprio avanzare d’età) comporta sempre e necessariamente anche uno sviluppo mentale. E così, seguendo questo pensiero, un quarantenne è più intelligente di un bambino. Invece no. 
Innanzitutto chi l’ha deciso di cosa si deve parlare per rientrare nella categoria delle persone intelligenti? Ma soprattutto: perché? I discorsi infatti non sono mai giusti e intelligenti in assoluto, il contesto gioca un ruolo fondamentale: una lezione universitaria brillante è tale se fatta in un’aula universitaria; invece, se tenuta in una classe di quarta elementare, la lezione perde il proprio status e così anche il professore. "Non è una cosa intelligente da fare" pensereste, e avreste ragione.  
I discorsi dei grandi e quelli dei piccoli possono essere ugualmente interessanti e corretti se tenuti in contesti e a destinatari consoni; modificandone il linguaggio infatti, lo stesso tema può essere affrontato con persone di ogni età. Ma per chi i “discorsi dei grandi” li fa, è difficile accettare questa realtà: insomma è strano ammettere che non c’è differenza tra parlare di politica e di cartoni animati: il primo è un tema affrontato da filosofi e intellettuali, il secondo da ragazzi di massimo tredici anni. Eppure -rifletto- sono pur sempre preferenze che, se giustificate in modo coerente, hanno valore. Perché mai dovremmo arrogarci il diritto di scegliere di cosa ha senso parlare e di cosa no? E soprattutto organizzare gli argomenti secondo una piramide che (guarda caso!) ha al vertice i temi più popolari tra gli adulti. Ma allora, quali sarebbero i discorsi dei grandi? 
La politica, la guerra, il tempo, problemi famigliari, i problemi economici, i problemi lavorativi; perché si parla sempre e solo dei problemi non l’ho mai capito: infatti poi si entra in un circolo vizioso in cui se non hai problemi non hai niente da dire e quindi, dopotutto, litigare con la moglie non è poi così male, così come avere il figlio adolescente che esce di casa di nascosto e non rispetta gli orari. Io lo dicevo sempre a mia madre: "Dovresti ringraziarmi, se io mi comportassi bene tu non avresti di che parlare con le tue amiche"
La verità è che, nella maggior parte dei casi, le conversazioni degli adulti sono discorsi di circostanza, quelli che iniziano con un saluto e una domanda (di cui ci interessa poco la risposta) e finiscono con un saluto da estendere a tutta la famiglia. A me fa sempre molto ridere sentirlo dire, soprattutto dai ragazzini; "Salutami casa!" come se poi qualcuno portasse davvero i saluti. O come se davvero interessasse quello che ci si racconta. Già, infatti quello che viene pronunciato nel bel mezzo della conversazione non è degno di menzione perché si tratta, appunto, di circostanza. Sono dialoghi politicamente corretti, in cui spesso ci si sorride fino ad arrivare a una paralisi facciale, ma di vero e sincero c’è ben poco. Ci si racconta tanto quanto basta per mettere l’altro nella condizione di raccontarsi a sua volta, e questo per due motivi: per fare conversazione (come se poi “fare conversazione” fosse un hobby, tipo il cucito) e perché sentire il dolore degli altri ci aiuta ad alleviare il nostro. È un meccanismo di difesa: sapere che non siamo gli unici ci fa stare meglio anche se di fatto continuiamo ad avere gli stessi problemi di prima, ora però ci appaiono più sopportabili. Questa è la logica del gossip e infatti tutti lo amano, anche se tutti dicono il contrario. 
Io però continuo a non trovare senso nell’intraprendere delle conversazioni se sai già in principio che non saranno genuine. O nel domandare di questioni di cui ci interessa veramente molto poco, per non dire di cui non ci interessa nulla. Tutto questo solo per rispondere alla convenzione dei "discorsi dei grandi"; tutto questo solo per non sembrare stupidi. Ma non trovate sia altrettanto da stupidi comportarsi così?
Insomma, a volte -penso- sarebbe meglio chiedere il colore e il piatto preferito, forse ci risponderemmo più sinceramente e la conversazione sarebbe senza dubbio più felice.

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