Lost In Translation

★★★☆☆
È una poesia. Lost in Translation è una poesia. E in quanto tale, per alcuni è noiosissimo (per non dire una perdita di tempo), per altri invece una breve boccata d'aria fresca. 
Sarò sincera, a tratti ho rischiato anch'io di addormentarmi, ma proprio questa è la forza del film. Non l'effetto soporifero, sia chiaro, parlo piuttosto del realismo con cui Coppola dipinge l'incontro tra i due protagonisti. 
Una normale conoscenza, qualcosa che potrebbe capitare a ognuno di noi. Non è amore a prima vista. Non è amore carnale. Non sappiamo nemmeno se sia amore, forse sarebbe più corretto parlare genericamente di affetto (rinunciando così al bisogno tipico dell'uomo di etichettare emozioni e sentimenti). 
Insomma, non ci sono colpi di scena, anzi direi che l'unico colpo di scena è la totale mancanza di colpi di scena, cosa rara nelle opere degli ultimi anni. E come la realtà spesso è deludente, così potrebbe risultare anche Lost In Translation se guardato con l'atteggiamento passivo e distaccato di chi sa di non essere il protagonista: questo infatti è un film da vivere e interpretare. Trionfa il non-detto, i dialoghi sono pochi, apparentemente futili e vuoti, i classici discorsi che fanno due sconosciuti che però, alla fine, scopriranno non esserlo e troveranno conforto l'uno nell'altro in una città così popolata (Tokyo) da farti sentire più solo del dovuto. 
"I wanted to do an intimate story between the two characters and the idea that you can meet someone and spend two days with them and that can just be as important as someone you've known for years." Sofia Coppola sul suo film. 

 

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