Lettera alle cose perdute della mia vita
A sette anni ho sotterrato delle biglie nel giardino della mia bisnonna; sono passati molti anni prima che io tornassi a cercarle, ma non le ho più trovate. Non so se dire di averle perse a sette anni, quando le ho seppellite, o solo dopo, quando non sono più riuscita a ritrovarle.
A otto anni ho perso la mia bambolina preferita, l’avevo portata al circo con me per farle vedere le tigri. A dieci anni ho perso un portarossetto che usavo come portafoglio; in quell’occasione penso di aver perso circa 20 euro. A dodici anni ho perso un orecchino regalatomi da un amico di famiglia, l’aveva comprato in Ecuador; mia madre, per consolarmi, mi disse che mi rimaneva sempre l’altro orecchino e che potevo portarlo anche da solo. Poi ho perso anche quello. Paradossalmente da quel momento ho sofferto meno la perdita perché non avevo più alcuna traccia di quel regalo.
A quindici anni ho perso molte cose: il badge di scuola, l’abbonamento della corriera e il mio gruppo di amici. A sedici anni ho perso la verginità e svariate volte l’autobus. Ho perso circa dieci farfalline degli orecchini e altrettante gomme da cancellare, elastici e forcine. Di frequente ho perduto la felicità poco dopo averla raggiunta.
A diciannove anni ho perso la speranza nel genere maschile; l’ho ritrovata ma poi l’ho perduta di nuovo. Ho perso la mia adolescenza senza averla vissuta a pieno e ho perduto la mia bisnonna troppo presto per poter provare dolore. Ho perso il ricordo della voce di molte persone. Tutti dicono che ho perso un anno di università ma io non sono d’accordo.
Ho perso la memoria di quanto accaduto la sera del mio ventesimo compleanno, colpa della sbronza presa. Quattro mesi fa ho perso il mio braccialetto preferito in discoteca e svariati calzini tra un bucato e l’altro. Ho perso anche la tessera sanitaria e la carta di credito, sempre in discoteca.
In alcune occasioni ho perso la pazienza troppo velocemente. Ho perso lo scontrino di una cena al ristorante e con esso il numero di telefono di un ragazzo. Davanti a quella cascata in montagna ho perduto il coraggio di tuffarmici. Ho perso il nome di quella canzone che tanto mi piaceva.
Spesso mi è capitato di perdere me stessa, e poiché so che succederà ancora è come se non potessi perdermi mai più. Ho perso l’appetito dopo un grande litigio. Da piccola ho perso la parola così tante volte che mi sono ripromessa non sarebbe accaduto mai più.
Due settimane fa ho perso il mio burrocacao per le strade di Bologna. Ho perso il conto di quanti capelli ho perso. E anche di quante volte ho perso il filo del discorso.
Per la paura di perdere credibilità o dignità è tutta la vita che perdo tempo e occasioni; ma visto che qualcosa devo pur perdere, preferisco siano le prime due.
Credo che nel corso della mia vita perderò altro, come le chiavi della macchina, data la fatica che impiego ogni volta per trovarle in borsa, la giovinezza o la mia famiglia. Spero di non perdere mai la fantasia, la voglia di ballare, il sorriso e la memoria dei miei cari.
Desidero, invece, perdere i vizi, le cattive abitudini, il rancore, i brutti ricordi e magari qualche kilo alle cosce.
Sono sicura di aver perso altro ma non ricordo cosa. Solo quando lo ritroverò potrò dire che l’avevo perso.
Lettera ispirata a Lettera alle cose perdute della mia vita, tratto da Tutti gli indirizzi perduti (Laura Imai Messina, 2024, Einaudi).
Questa lettera a tratti mi sembra un po' autobiografica
RispondiEliminaInfatti lo è! :)
EliminaSei tutti noi!! Sei adorabile! Grazie
RispondiEliminaGrazie mille veramente! :,)
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