Il caso Asia Vitale

Probabilmente tutti conosciamo Asia Vitale, la ragazza vittima di stupro, violenza accaduta il 7 luglio a Palermo da parte di sette ragazzi. Il caso ebbe un impatto mediatico mai visto prima: per la prima volta non solo telegiornali, ma anche quotidiani e social riportarono la notizia per giorni, sollevando una bufera di indignazione, rabbia e odio nei confronti delle “bestie” carnefici della violenza. 
Se da una parte rendere la notizia alla portata di tutti ha come scopo quello di creare una coscienza comune e cercare di sensibilizzare a temi come il femminicidio, la violenza di genere e il sessismo, dall’altra il fatto rischia di essere trattato da chi non ha gli strumenti e le conoscenze adatte a questioni così grandi, finendo magari per sminuire un argomento molto delicato e di cui si parla ancora troppo poco.
In particolare questa ambiguità viene portata avanti in primis dalla stessa Asia Vitale che dice di “volerci mettere la faccia” rappresentando un modello da seguire per tutte quelle ragazze che, vittime di violenza, si sentono colpevoli; allo stesso tempo però gli atteggiamenti e le parole di Asia sui social vengono criticati perché è evidente come la ragazza non sia ancora riuscita a superare, a patto che sia possibile farlo, ciò che è avvenuto quella notte di luglio, anzi oserei addirittura dire che Asia non ha ancora metabolizzato la violenza subita, come se l’avesse rimossa per non provare tutto il dolore conseguente. Questo pensiero è causato soprattutto da quello che la stessa ragazza posta su internet, da insulti rivolti ad avvocati che “non sanno fare il proprio lavoro” a vere e proprie minacce: “Devi pregare in ginocchio ogni fottuto giorno che io non scenda a Palermo e ti veda per strada perché te lo giuro questa soddisfazione me la devo togliere” scrive in una storia Instagram.
Nell’intervista Asia dice che ha continuato a usare i social perché, nonostante le brutte parole, sono molti di più i messaggi di incoraggiamento e di supporto che riceve e che la aiutano a sentirsi meno sola. Eppure la ragazza dovrebbe capire come non basta qualche like e un paio di messaggi per superare un trauma del genere, tanto che sembra non aver acquisito la sensibilità necessaria per poter parlare di violenza davanti a tutt’Italia. Non che le risposte date alle domande di De Girolamo siano sbagliate, ma spesso risultano frasi fatte che qualcuno le ha consigliato di dire per non fare scivoloni in TV: insomma una frase come “perché un uomo che ha cento donne viene apprezzato, mentre le ragazze se hanno cento uomini devono stare per forza con il centunesimo anche se non vogliono, e comunque vengono sempre giudicate delle poco di buono” non è mai sbagliata perché racconta, ahimè, una verità, ma può essere fuori contesto.
Quello che dovrebbe portarci a riflettere è proprio l’intervista fatta alla ragazza nel programma Avanti Popolo mandata in onda il 31 ottobre: Asia racconta dapprima della sua infanzia difficile, del padre violento e della madre che, unico punto di riferimento, si spegne quando lei ha solo 14 anni. Racconta anche dei primi fidanzati, uno dei quali la picchiava, l’altro la abbandonò in una delle piazze di Palermo. Asia ammette, implicitamente, che forse il motivo per cui le sue relazioni non sono mai finite bene è proprio perché ricerca nel partner quello che le è sempre mancato: una figura paterna amorevole e rassicurante; finisce però, al contrario, per attirare ragazzi violenti simili all’uomo che avrebbe dovuto accudirla e proteggerla. 
Ma siamo sicuri che sia corretto nei confronti di Asia esporla a tale pubblico, mostrare non solo a tutta Italia, ma potenzialmente al mondo, la sua storia e la sua vita?
Altro problema è l’intervistatrice, Nunzia De Girolamo, che pare essersi presa un incarico troppo grande: a fine intervista ripete in continuazione ad Asia quanto lei sia forte e la invita a non sentirsi in colpa, tutto giusto se non sembrasse parte di un copione. Durante tutta la puntata infatti De Girolamo pone le domande in maniera dura, anche il trucco non aiuta (palpebra completamente ricoperta di un ombretto scuro) facendola risultare un avvocato che interroga il teste in tribunale. Può apparire esagerato, ma quanto si intervistano persone dal passato infelice, si dovrebbe cercare di metterle a proprio agio, effetto che in questo caso la conduttrice non riesce ad ottenere. Ogni domanda sembra voler portare la ragazza al pianto, e come se non bastasse vengono proiettate le foto della madre, quando era malata di sclerosi multipla, vengono mostrate le chat dei ragazzi che l’hanno violentata e i video in cui i compaesani di Asia la giudicano come una “poco di buono che se l’è cercata”. A fine intervista la ragazza fatica a trattenere le lacrime, De Girolamo la abbraccia e si commuove (“Sapevo che saresti riuscita a farmi commuovere”, come se effettivamente dovesse riuscirci): risultato raggiunto. Non sono state poche infatti le critiche alzate nei confronti dell’intervistatrice, la quale si è difesa dicendo che prima di andare in onda lei e Asia avevano intrapreso lunghe chiacchierate per conoscersi meglio e per decidere quali domande evitare e quali porre. Eppure, se questa è l’intervista ottenuta, forse gli incontri tra le due non hanno dato i propri frutti: la ragazza non risponde a tutti i quesiti e dall’altra parte De Girolamo insiste per ottenere le risposte, addirittura fa cambiare il microfono perché non si sente abbastanza bene la voce di Asia, che forse non voleva proprio farsi sentire.
Quello a cui assistiamo guardando l’intervista è l’ennesimo caso di pornografia del dolore, un metodo ormai datato utilizzato dai media per fare audience, ed è proprio questo che dovrebbe farci preoccupare di più: in Italia, ma non solo, temi quali il femminicidio e la violenza di genere vengono trattati ancora troppo poco e quelle rare volte in cui riescono a guadagnarsi la prima pagina del giornale, tipo questa, sono nelle mani di grandi aziende che pensano solamente a guadagnare sfruttando ciò che nel nostro Paese forse non smetterà mai di funzionare: il drama.
Il caso di Palermo, che ha creato moltissimo scalpore, poteva essere analizzato in maniera utile per avanzare nella lotta di genere, poteva, insomma, essere la goccia che, facendo traboccare il vaso, avrebbe dato una spinta all’Italia dal punto di vista sociale e, perché no, anche etico-culturale.
Non che Asia, che ha subito in prima persona la tragedia, non dovesse essere intervistata, né che si debba nascondere o non raccontare l’accaduto, ma è chiaro che non era (e che non è) ancora pronta per farlo, perdendo lei stessa e privando anche noi di un’occasione unica: sentire discutere in televisione di stupro senza i filtri del politicamente corretto. 
Asia Vitale, manipolata la prima volta quella notte di luglio, continua ad affidarsi a mani sbagliate che spettacolarizzano la sua vicenda attraverso un attento lavoro di camouflage che però, in questa occasione, non ha funzionato bene come previsto, tanto che se prima valeva l’hashtag “io non sono carne”, ora abbiamo #iononsonoaudience

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